Un clima surreale quello al fischio finale, da un lato emozioni uniche che si dilatano, l’azzurro piange in cerca dell’attimo indimenticabile, dall’altro la gioia di chi ha scalato un gradino verso la gloria, quella granata della salvezza.
Una domenica uggiosa, lontano dagli stereotipi napoletani: ‘o sole, ‘o mare, ‘e mandulini, ‘a pizza…ce manca ‘o scudetto.
Quella toppa tricolore che adorna le maglie dei vincitori della Serie A, che manca sulla casacca azzurra da 33 anni, l’ultima stagione partenopea di quel D10S riccioluto nato argentino e vissuto napoletano, genio ribelle che ha portato Napoli e il Napoli alla ribalta.
Allora sembra tutto un disegno magico, di una cittá millenaria intrisa di storia ed esoterismo, la bella ‘mbriana oggi non era allo stadio, ‘o munaciello ha rimandato tutto, i corni con la testa di Osimhen non sono bastati.
È cosi che torna alla mente un’abitudine filantropica, tutta napoletana, che sopravvive da tempo immemore nelle pieghe di una città accogliente e solidale, quale?
Quella di lasciare “sospeso”.
Un caffè.
Una spesa.
Una pizza.
È così che questo popolo unico ha battezzato un nuovo dono, da consumarsi con gusto e lentezza, a Napoli abbiamo lo sudetto in sospeso.
Quale beneficio?
Allunga l’attesa, allunga la festa, allunga la vita.
Una giornata nera? No, forse un pochino grigia. Citando il testo del recentemente scomparso Federico Salvatore: “Nera comme fuje nera ‘a fessa d”a Sirena. Ca ce futtette ‘o core e ancora ce ‘ncatena!”.